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pratali scrittore

UNA PITTURA CHE CONDUCE ALLA CONOSCENZA POETICA DEL MONDO

Io ho visto solo le ultime tele del Pratali, ed alcune delle prime, cioè i risultati finali di una ricerca che Pratali ha iniziato decenni fa. Mi dice che erano anni di lavoro, di colloqui con artisti amici, aperti su sensazioni che si nutrivano di innocenza e di puntiglio narrativo. Mi pare di avvertire nelle opere di allora un grande entusiasmo e una eccessiva predilezione per poetiche che si nutrivano di storie personali e non contenevano in sé gli elementi per suggerirgli metodi di lavoro, modalità di indagini e ricerca linguistica. Dei suoi maestri: Annigoni poteva solo trasmettere il segno nobile della bella rassomiglianza e Amos Bernardini era l’artista che si avvicinava con modesto stupore agli aspetti di una natura che egli ci consegnava con notevole delicatezza veristica ma raramente rispondente a quel fatto immaginativo che deve accompagnare sempre ogni osservazione e sublimazione del “Reale”. Il mondo di Serafini nasceva da una popolare visione di uomini e cose, con alterazioni impressionistiche che denotavano una forza interpretativa di non comune naturalezza.

Solo Primo Conti si era portato dietro lo spirito polemico del giovane futurista disponibile per ogni libertà di linguaggio, per ogni trovata segnica riconducibile al rigore informale e all’invenzione improvvisa. Questi i suoi modelli. Era naturale che l’allievo Pratali avvertisse l’urgenza di rifugiarsi nel contenuto dell’informalità, laddove si smarriscono i legami con l’oggettività e si tentano provvisoriamente simbologie ed astrazioni: nasceva il bisogno di una misteriosità di significati che abbandonasse elementi naturalistici e rifiutasse il richiamo alle forme desuete dell’esperienza reale. Erano necessarie le insistenze sui significati interiori della conoscenza – proprio per liberarsi da pressioni descrittive – in modo da soddisfare esigenze profonde di pensiero e di ritmo disegnativi e cromatico che andassero oltre la figuratività e la naturalità.

Poi, Pratali dovette tornare velocemente ad una pittura che lo riconducesse ad aprirsi su un mondo ricco di un suo fascino narrativo e comunicabile, capace di sostituirsi alla moda facile della pseudo-emozione legata alla realtà solo per gli aspetti capricciosi ed esteriori. La realtà se letta con tenerezza e l’acutezza dovute, poteva ancora suggerire la forza per cogliere l’universalità dentro la particolarità, andando oltre i modelli suggeriti dagli amici pittori per cogliere l’unicità personale di una visione figurale tutta legata all’identità del pittore interessato: la stessa rassomiglianza poteva diventare un’invenzione immaginaria nata dalle inquietudini di un pittore che voleva riuscire a colmare di una misteriosità la sua pur dichiarata predilezione figurativa. Questa nuova “realtà” poteva arricchirsi dei suoi silenzi campagnoli e delle sue malinconie, lontane dai modelli pur suggeriti con impeto e bravura da un Primo Conti o da un Annigoni: il Pratali, volendo essere artista serio, doveva tentare la strada di una “presenza” concreata, della rivalutazione dell’uomo e del suo ambiente, usando le immagini come testimonianza dei segnali del mondo, dei prati, dei cieli, degli alberi, esseri umani anch’essi, pronti a collegare i problemi dell’uomo alla poesia della natura. Pratali doveva rimanere fedele alla sua logica di vedere, anche se alle sue spalle all’inizio del secolo erano sorti strumenti e simboli e poetiche che avrebbero capovoltola visione del “rappresentare”.

Lo spazio avrebbe accolto in forme nuove la realtà delle cose, fino all’Informale e alla Pop, ma poi gradualmente la misura di un Marini o di un Mattiolio di un Music avrebbe ripreso il sopravvento e avrebbe riproposto, come lezione classica, un anelito di conoscenza in chi avesse voluto porsi in modo diverso e responsabile di fronte alla visione di un mondo, al punto di costringere gli artisti a riproporre tutte le moderne contraddizioni ( e anche le sciagurate e manieristiche contraffazioni ) e anche i relativi rapporti formali, diversi tra loro nel momento dell’eventuale riproposizione dei legami e dei processi inventivi. Basta guardare Pontaccio di Buti del 1995 per riaffermare il senso limpido e dorato di un paesaggio raccolto in una sua elegante misura descrittiva, con gli alberi che sanno tagliare il piano con l’eleganza affettuosa di un elemento amato e ricordato: lo cito come esempio di un modo “tipico” di osservare il mondo nelle sue visioni comuni e pur dense nella sua interiorità e di segreta bellezza ( Padule in autunno, 1995; Il Riaccio, 1996; Tramonto sul padule, 1996 ).

Cito queste piccole tele anche per differenziarle da altre in cui la visione si intreccia con luci scomposte e troppo intrecciate o annebbiate ( per asempio, Autunno nel Riasccio, 1996; Periferia di Cascine di Buti, 1996; Vecchio borgo di Vicopisano, 1996 ), le quali tradiscono la reminiscenza un po’ disinvolta della scuola di Bernardini, ma esaltano la lucida esecuzione di altre tavolette come Bocca d’Arno ( 1996 ) o Periferia ( 1997 ) e un Vicopisano ( 1997 ) dove le verdi linee verticali si susseguono con delicatezza bonnardiana e commovente semplicità narrativa. Talvolta alcune case o pagliai si impongono come volumi luminosi o trofei in cui l’uomo – sempre assente - si annunzia come presenza vigile e affettuosa ( Casa colonia con pagliai, 1997; Il ponte di Cascine di Buti, 1996; Antico Borgo, 1997 ), in un gioco di riflessioni poetiche che parte dalla memoria dell’artista e si concretizza in una serena linearità di immagini che unisce cose e persone in un ritmo statico ma garbato e gentile. Pratali vive segretamente la sua passione pittorica destreggiandosi tra le sue aie e i suoi fossi, e riuscendo, nei momenti felici, a dare consistenza e unità alla materia.

Distribuendola con grazia sui muri e pagliai: spesso il lievitare dello spessore cromatico rende compatto il colore entro cui si smorzano i volumi e le angolature. Penso che dovrebbe porre meno fretta in talune costruzioni e il colore dovrebbe essere steso con maggiore coerenza, senza lasciar vuoti o inutili spaziature, in modo da offrire consistenza alla stessa superficie o ai volumi che si intersecano tra loro o tra una barca e il suo fiume: Tramonto in padule è forse l’elemento limite di una felice composizione figurativa in cui il momento creativo vive di proporzioni esatte e di prospettive rispondenti a dimensioni totalizzanti. La stessa armonia che predomina in palude ( 1997 ) dove il gioco tra gli alberi e le nuvole realizza serenamente una suggestione non comune.

Credo che i giovani debbano collocarsi in una loro posizione di attesa e di autenticità: i linguaggi devono maturare via via che salgono le capacità di analisi e di partecipazione alle vicende del mondo. Anche una raffica di vento può farsi storia e una barca può caricarsi di sogni e condurci verso lidi impensati. Meglio vivere, nell’ambito dei propri mondi creativi che ricorrere a forzate soluzioni intellettualistiche che mancano spesso di motivazioni reali e conducono a manierismi modernistici assolutamente ripetitivi.

È giusto che il Pratali fermi sulle tavolette il suo diario di vita, a qualunque livello sia pervenuto, anche perché la propria identità vive sui documenti che la mano e lo spirito hanno saputo creare.

Inedito, Pontedera, agosto 1998

DINO CARLESI




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